A James Vance e la sua famiglia

[Scritto da Neil Gaiman il 16 giugno 2017]

Leggevo le opere di James Vance prima ancora di incontrarlo di persona. Era un drammaturgo che scoprì il mondo dei fumetti e scrisse una graphic novel dal titolo KINGS IN DISGUISE, ambientata durante la grande depressione. Me ne innamorai. Potente, toccante e intelligente. Dopo alcuni anni, quando lavoravo ad una linea di fumetti per la Tekno Comics, chiesi a James di scrivere “Mr Hero”, convinto che qualcuno capace di andare così a fondo potesse anche scrivere cose divertenti, leggere e dolci, e non mi sbagliavo. Diventammo amici.
James incontrò un’altra mia amica, e anche lei scriveva per la Tekno Comics: Kate Worley. Si innamorarono ed ebbero due bambini.

Poi Kate si ammalò di cancro. Pubblicai il loro appello 13 anni fa. (Questa è una splendida lettera scritta da Jim a questo blog nel 2005, in cui chiedeva alle persone di smettere di inviare del denaro perché Kate era morta. Vi darà un’idea di che grande uomo sia.)

Jim è morto di cancro il 5 giugno, lasciando la moglie e tre figli (due autistici, uno affetto dalla sindrome di fatica cronica).

Trovate qui il suo necrologio sul Tulsa World.

Cliccateci e leggete di più su Jim e Kate, le loro vite e i loro bambini a questo indirizzo: https://www.gofundme.com/vance-family-home-mortgage. Se siete fra coloro che sono stati colpiti dalle loro opere, o dalla loro amicizia, vi invito a fare una donazione, anche solo di pochi dollari. Io l’ho fatto.

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Sulla traduzione

[Scritto da Neil Gaiman il 13 marzo 2017]

 

Caro Neil,

insegno traduzione presso l’Università di Nottingham e mi occupo ogni anno di un corso extra-curriculare sul tema cultural translation (traduzione “culturale”). Durante una settimana di questo corso, chiedo agli studenti di analizzare e tradurre l’epilogo de Il Figlio del Cimitero, puntando in particolare sul catturare il decorso emotivo descritto nelle pagine.

La maggior parte dei miei studenti sono piuttosto giovani (21-25 anni) e lavorano con lingue molto distanti dall’inglese (ad esempio il cinese, lo sloveno, il russo e l’arabo). Alcuni di loro hanno dubbi su quali libertà possono prendersi, in termini di sintassi, scelta di parole, collocazioni e così via, quando traducono un’opera letteraria. La sfida più grande è data probabilmente dalla canzone che la signora Owens canta a Bod, perché il ricrearne ritmo e rime senza allontanarsi dalle parole inglesi porta spesso a risultati mediocri. Alcuni di loro optano per il reinventare il testo, sostituendo le immagini originali, e il risultato è spesso una piacevole reinterpretazione che suona come, ad esempio, una ninna nanna cinese, con le sue rime e tutto il resto. Altri studenti, invece, preferiscono tradurre parola per parola, per non alterare il testo originale.

Sono consapevole che ogni scrittore abbia un’opinione diversa in merito a cosa i loro traduttori dovrebbero e non dovrebbero fare (Tolkien voleva che si mantenessero invariati i nomi, Eco poneva l’accento su scene e ritmo, ma non sull’usare forzatamente i soggetti e i riferimenti culturali usati da lui), e mi chiedevo cosa tu diresti a un traduttore che lavora sulle tue opere (o cosa tu abbia già detto a uno di loro), in merito, ad esempio, a quanto hai dichiarato in un’intervista sul fatto che il finale de Il Figlio del Cimitero deve far venire le lacrime agli occhi al lettore.

Spero che leggerai questo messaggio, e spero che troverai il tempo per rispondere. Ci tengo a specificare che, ogni volta che svolgiamo quell’attività, vedo molti fazzoletti fuoriuscire da borse e tasche mentre gli studenti leggono della partenza di Bod.

Grazie per le tue opere, Neil. Fanno davvero la differenza.
Klaus

 

 

Questa è davvero un’ottima domanda e non sono sicuro che ci sia una sola risposta. Non credo ci siano delle regole delineate quanto piuttosto una serie di “se… allora…”.

Per quanto riguarda la canzone della signora Owens, vorrei che il lettore la percepisse come una ninna nanna, se il traduttore riesca a renderla così. Se non gli è possibile, dovrebbe allora probabilmente optare per una traduzione letterale. Quello che vorrei provasse il lettore, qualunque sia la sua lingua, è un’esperienza il più vicino possibile a quella del lettore di lingua inglese. Non è necessario che ritmi e rime siano uguali, e nemmeno che le parole siano identiche, quanto piuttosto l’aver ricreato la sensazione di una ninna nanna e lasciare invariato il significato.

(La cosa più difficile che ho fatto come scrittore, o almeno quella che mi ha richiesto più tempo in proporzione al volume di parole, è stata la traduzione del testo del tema principale de La Principessa Mononoke e quello della canzone delle Tatara’s Women. E non sono nemmeno sicuro che le parole di quella canzone si sentano durante il film. La sfida è stata prendere il testo giapponese e fare in modo che la traduzione inglese si combinasse bene con la melodia originale.)

Immagino che un traduttore abbia un vasto set di attrezzi a sua disposizione. Ho avuto traduttori che hanno deciso di lasciare inalterati i nomi dei personaggi e altri che hanno cambiato il titolo del libro (il titolo francese di The Graveyard Book è L’Etrange Vie de Nobody Owens, ovvero La Strana vita di Nessuno Owens). Altri traduttori hanno cambiato i nomi dei personaggi mantenendo il titolo del libro (Mr Wednesday, personaggio di American Gods, romanzo che mantiene lo stesso titolo nell’edizione francese, viene chiamato Voyageur perché Wednesday in francese è Mercredi, il giorno di mercurio, e non di Odino).

Non voglio che i traduttori si inseriscano fra il lettore e il libro. (Il traduttore di una vecchia edizione francese di Stardust ha addirittura inserito delle note nel testo decidendo che il libro fosse un’allegoria basata su The Pilgrim’s Progress di John Bunyan e accertandosi che il lettore ne venisse a conoscenza), Non voglio che alcuni passaggi vengano tradotti male; in un tempo in cui possiamo utilizzare Google, non abbiamo scuse. (Il traduttore francese Stardust menzionato qui sopra credeva, come ha poi scritto nelle note, che la Unseelie Court fosse un complesso gioco di parole basato su Un-, See e Lie, anziché una categoria di fate).

Non mi dispiace quando i traduttori mi fanno domande. A volte semplicemente non hanno capito qualcosa, altre volte vogliono sapere quale parte è più rilevante per me. A volte fanno domande che rivelano delle mie gaffe, che loro sono stati capaci di cogliere proprio perché leggono il testo così attentamente.

Immagino che in ogni lingua e per ogni traduttore ci saranno cose più facili da tradurre e altre più complicate. Giochi di parole e aspetti specifici della lingua inglese sono fra i più difficili da rendere. Il mio unico consiglio per i traduttori circa questo aspetto è di fare del loro meglio, con la consapevolezza che ci sono cose che non possono fare. Ma, se riuscite, cercate di capire il senso di quello che stavo cercando di fare.

Spero di esserti stato d’aiuto.